Stefano Cagol: Il Fato dell'Energia

Ghiacci glaciali, surriscaldamento e divinazioni
A cura di Emanuele Quinz
28 maggio – 30 ottobre 2022




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OPERE IN MOSTRA

RASSEGNA STAMPA







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Il 27 maggio nelle splendide sale di Castel Belasi a Campodenno (Tn) apre “Il Fato dell’Energia”, mostra personale di Stefano Cagol a cura di Emanuele Quinz. L’artista trentino riconosciuto a livello internazionale porta il visitatore in un viaggio visionario tra metafore universali, riti contemporanei, ghiacci e diluvi attraverso molteplici linguaggi, dal video alle installazioni, spaziando da rari lavori dell’inizio della carriera all’opera ora presente alla Biennale di Venezia, vera sorpresa in mostra.

 

Con la personale di Stefano Cagol, Castel Belasi a Campodenno si presenta al pubblico con un programma espositivo strutturato e permanente e diviene Castel Belasi Cultura, luogo privilegiato di fruizione delle arti, dopo cinque anni pilota in fase di ultimazione del lungo intervento di restauro che erano culminati con una selezione di opere dalla Collezione Panza di Biumo. Oltre alla sezione dedicata a mostre temporanee d’arte contemporanea di respiro internazionale, la proposta espositiva include un percorso permanente consacrato alla fotografia con pezzi provenienti a rotazione dall’Archivio Fotografico Storico Provinciale (inaugurazione a fine giugno) e una project room dedicata a mostre di artisti under 35. Offrire un programma culturale di così alto livello, come testimonia la presenza di un artista del calibro di Stefano Cagol, corona un’avventura di acquisizione e restauro di Castel Belasi iniziata oltre trent’anni fa”, dichiara Daniele Biada, sindaco di Campodenno.

 

“IL FATO DELL’ENERGIA. Ghiacci glaciali, surriscaldamento e divinazioni” di Stefano Cagol presenta un esteso e inedito excursus nella sua consolidata ricerca – da poco premiata dall’Italian Council del Ministero per i Beni Culturali – attraverso una ventina di opere, video, fotografiche, luminose, sonore e installative, da quelle più recenti fino a lavori datati tra metà anni Novanta e inizio anni Duemila, testimoni dello spirito coerente e anticipatore di questo artista, da sempre impegnato a sviscerare e distillare attraverso un linguaggio evocativo complesse questioni dell’oggi e del nostro stare nel mondo, tra fenomeni naturali e impatto delle nostre scelte.

Dà il titolo alla mostra il video “The Fate of Energy” del 2002, che apre ai molteplici significati del termine energia, al tempo stesso generatrice e distruttrice, rimandando a sua volta a un capitolo del “Saggio sui fenomeni estremi” del filosofo Jean Baudrillard e risultando quanto mai attuale, così come Monito. Monition. Mort Nucleaire” del 1995.

L’opera esposta più recente – e quella più attesa – è “Far before and after us”, che Cagol ha creato per la Biennale di Venezia, dove l’espone all’interno della mostra dello stato di Perak-Malesia su simbiosi indigena e narrazione della natura (agli Archivi della Misericordia fino a novembre), come unico artista internazionale invitato insieme a sei artisti malesi. Nel video, protagonista è un rituale contemporaneo, sospeso tra oscurità e luce, fuoco e ghiaccio, miti del passato, incertezze del presente e sfide di futuri al di là del tempo e dello spazio. È stato realizzato in una valle dolomitica patrimonio UNESCO, la Val di Tovel, poco lontano da Castel Belasi e dallo studio dell’artista, che da quasi vent’anni ha deciso di vivere in Val di Non.

Una chiave di lettura biografica individuata nel legame con le Alpi è l’altra grande novità di questa mostra, la prima in Val di Non dedicata a Cagol.  Lo sottolinea il curatore Emanuele Quinz – basato a Parigi, con volumi pubblicati da Quodlibet, Sternberg Press e Mimesis – affermando che Queste opere da una parte rivelano un legame profondo con il territorio delle sue origini, e dall’altra esplicitano la funzione di denuncia dell’artista”. Cagol ammette di considerare le Alpi “una delle espressioni naturali che più chiaramente ci fa prendere coscienza dell’idea di tempo” e dichiara di essersi ispirato a quelli che il padre gli mostrava come “i ghiacci eterni”, ora quasi spariti, quando ha pensato l’opera per il Padiglione nazionale delle Maldive alla Biennale di Venezia del 2013, “The Ice Monolith”, allora uscita su New York Times e BBC, quindi entrata nell’immaginario collettivo tra gli interventi artistici attenti a questi temi.

Fanno da contraltare opere frutto di lunghi viaggi di ricerca e creazione, nelle quali lo stesso elemento del viaggiare è parte della pratica artistica di Cagol, divenendone un tratto distintivo. In mostra è il progetto “The Time of the Flood” che guarda al diluvio come summa di tutti gli sconvolgimenti e profeticamente è stato cominciato nel 2019. La serie di opere video che lo compongono è presentata in questa occasione per la prima volta in Italia, dopo la premiere al CCA Center for Contemporary Art di Tel Aviv lo scorso anno. L’altra opera fondata sul viaggio è “The End of the Border”, che portò Cagol nel 2013 per la Barents Art Triennale nell’Artico sul confine tra Norvegia e Russia, dove le autorità russe gli hanno negato che un raggio di luce attraversasse il confine.

Difficile dire qual è l’opera più blasonata in mostra, sicuramente quella più vista è il video della performance “Signal to the Future”, che nel maggio 2020 in piena pandemia è stato rimbalzato da innumerevoli tv di tutto il pianeta, raggiungendo l’enorme audience di oltre 430 milioni di spettatori.

Nel 2022, Stefano Cagol, oltre a partecipare alla 59. Biennale di Venezia, prende parte alla serie "La Scienza a regola d’Arte" della IBSA Foundation in collaborazione con il museo MASI di Lugano, cura il progetto "We are the Flood. Piattaforma liquida su crisi climatica, interazioni antropoceniche e transizione ecologica" del MUSE Museo delle scienze di Trento, a Bergen in Norvegia sarà artista in residenza a BEK e in mostra alla Kunsthall 3.14, e la Galleria d'Arte Moderna di Verona gli dedica (fino al 30 settembre) la Primaparete.

La mostra a Castel Belasi rimarrà aperta al pubblico fino al 30 ottobre.


 

 

 

Ritratto Stefano

Stefano Cagol (Trento, 1969) ha studiato all'Accademia di Brera e alla Ryerson University di Toronto con una borsa di studio post-dottorato del Governo del Canada. Vincitore dell’Italian Council (2019) del Ministero Italiano della Cultura e di premi come il Visit di E.on Stiftung e il Terna per l’Arte Contemporanea, lavora negli ambiti dell’Arte Concettuale, Arte Ambientale, Eco Art e Land Art. Ha partecipato a biennali come la 59., 55. e 54. Biennale di Venezia, Manifesta 11, 14. Biennale di Curitiba, 2. OFF Biennale Cairo, 1. Xinjiang Biennale e 1. Biennale di Singapore. Gli hanno dedicato mostre personali musei come CCA Center for Contemporary Art di Tel Aviv (2021), MA*GA di Gallarate (2019), Galleria Civica di Trento/Mart (2016), ZKM Karlsruhe (2012) e Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (2000).

 

 

 

 

 

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Emanuele Quinz (Bolzano, 1973) è storico dell’arte e curatore. Professore associato all’Université Paris 8 e ricercatore associato all’EnsadLab (École nationale supérieure des Arts Décoratifs), le sue ricerche esplorano le zone di frontiera tra le diverse discipline artistiche. Ha pubblicato “Contro l’oggetto. Conversazioni sul design” (Quodlibet, 2019), “Behavioral Objects” (con Samuel Bianchini, Sternberg Press, 2017), “Il cerchio invisibile. Ambienti, sistemi, dispositivi” (Mimesis, 2014; Les presses du réel, 2017), “Strange Design” (con Jehanne Dautrey, It: éditions, 2014). Collabora regolarmente con centri d’arte e istituzioni internazionali come il Centre Pompidou, il Centre Pompidou-Metz e l’Uqàm di Montréal. Come curatore ha diretto diversi progetti di ricerca ed esposizioni internazionali.

 

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Castel Belasi è situato in provincia di Trento nel Comune di Campodenno (1.500 abitanti), piccolo paese ai piedi delle Dolomiti di Brenta tra i frutteti della Bassa Val di Non, zona che può contare il maggior numero di castelli e residenze nobiliari del Trentino-Alto Adige. Il castello è ubicato nel borgo di Segonzone in posizione collinare e panoramica. La sua fondazione risale al tardo Duecento, nell’ambito dell’affermazione in Anaunia del Conte del Tirolo e delle famiglie di lingua tedesca, e incarna lo spirito di un territorio tra nord e sud, luogo di incontro e confronto. Il nucleo originario del castello, rappresentato dall’alto mastio pentagonale del palazzo centrale, risale al XIV secolo. Il complesso è protetto da una doppia cortina muraria e le fortificazioni più esterne furono erette nel corso del XVI secolo, mentre la cinta muraria maggiore, originaria difesa del castello, fu ulteriormente innalzata intorno alla metà del Quattrocento fino a raggiungere l’odierna imponenza. L’ultimo nobile che vi risiedette fu Arbogast Khuen Belasi, morto nel 1950. Proprietario di un terzo del castello a partire dagli anni Ottanta, il Comune di  Campodenno  ha rilevato nel 2000 la proprietà dell’intero complesso. Un lungo percorso di restauro restituisce oggi alla comunità trentina e non solo un antico maniero dal fascino intatto.

 




 


 

INFO

 

Stefano Cagol

IL FATO DELL’ENERGIA

Ghiacci glaciali, surriscaldamento e divinazioni

A cura di: Emanuele Quinz

Durata: 28 maggio – 30 ottobre  2022

Orari: sab-dom 10.00 – 18.00 e dal 1 luglio all’11 settembre mar-dom 10.00 – 18.00

Sede: Castel Belasi

Campodenno (Tn)

 

Programma:

Inaugurazione: venerdì 27 maggio ore 18.30

Visite guidate: ogni sabato alle 16.30

Visite guidate con l’artista: 4 giugno; 11 giugno; 9 luglio; 23 luglio; 3 settembre; 17 settembre

Evento speciale: 9 agosto ore 21.30

 

Ufficio stampa: T. +39 0463 830133

ufficio.stampa@visitvaldinon.it

 

Castel Belasi

 

COLOPHON

 

Castel Belasi Cultura

Comune di Campodenno

 

Sindaco

Daniele Biada

 

Responsabile Castel Belasi

Vicesindaco

Manuel Cattani

 

Assessore alla Cultura

Igor Portolan

 

Ente promotore mostra

Azienda per il Turismo Val di Non

 

Presidente

Lorenzo Paoli

 

Addetto stampa e PR

Paolo Forno

 

Coordinamento mostra

Sara Torresani

 

Web e social

Stefania Menghini

 

 




OPERE IN MOSTRA



Stefano Cagol

GLOBAL WARNING

(pericolo globale)

2022

Installazione, neon, suono, 2 elementi, dimensioni ambientali

Courtesy l’artista; Brixen Water Light Festival

 global w


Con questa installazione luminosa, l’artista invita a riflettere sul complesso mosaico di cause ed effetti che influenzano il momento attuale e il futuro, lanciando un inesorabile segnale di pericolo che non risparmia nessuno. Lo fa attraverso la sua opera neon e sonora “Global Warning”, un amaro gioco di parole che si basa sulla vicinanza tra i termini inglesi warming, riscaldamento, e warning, allarme.

L’opera, progettata nel 2019 e realizzata quest’anno per il Water Light Festival di Bressanone, ora assume ulteriori significati: l’allerta globale si rafforza nello spronarci a costruire un futuro migliore.

Parlando di ostilità dell’essere umano, il suono è un riferimento all’antagonismo con la natura, amplificando gli impercettibili rumori provocati della fusione del ghiaccio e traducendo in onda sonora la frequenza emessa dal sole. 

Le Alpi si stanno riscaldando più di altre aree del Pianeta e questo cambiamento influisce sulla sparizione dei ghiacciai, sulla disponibilità idrica e sulla vita ad alta e bassa quota. Il pericolo è sotto i nostri occhi, anche se non vogliamo rendercene conto e pensiamo agli effetti del clima e della natura solo quando si manifestano in maniera distruttiva.


Stefano Cagol

THE FATE OF ENERGY # 1 – # 3

(il fato dell’energia)

2002

Opera video, DV trasferito su DVD, 5 min. / loop

Courtesy l’artista; Nomas Foundation

fate of
      energy


Quest’opera video, della quale ricorre il ventesimo anniversario dalla realizzazione, dà il titolo alla mostra e, oltre a testimoniare la carriera più che ventennale di Stefano Cagol, ribadisce una coerenza nella sua ricerca tesa a riflettere e cercare di anticipare questioni del rapporto tra l’essere umano e quanto lo circonda, tra fenomeni naturali e conseguenze delle nostre scelte.

Protagonista assoluta è l’energia, al tempo stesso generatrice e distruttrice. Il bagliore improvviso di una serie di fulmini si staglia nel buio di una notte in tempesta e un rallentamento progressivo della ripresa – di oltre duecento volte – riesce a svelarne l’essenza di pura luce e mostrare la forma che scaturisce subitanea, si sviluppa e scompare di nuovo nell’oscurità.

I livelli di lettura corrispondono alla molteplicità dei significati del termine energia, intesa come capacità fisica e mentale, e coincidono con le urgenze dell’oggi, come avviene anche nel libro “La trasparenza del male. Saggio sui fenomeni estremi” del filosofo Jean Baudrillard, dal quale Cagol dichiara di aver tratto il titolo dell’opera.

 


 

Stefano Cagol

THE TIME OF THE FLOOD

(il tempo del diluvio)

2020

Serie di opere video HD, 40 min. / loop

Courtesy l’artista; IFCAA Fondazione Italia Israele per le Art e la Cultura; Momentum Berlin; CCA Center for Contemporary Art Tel Aviv

 time
              of the flood

 

"The Time of the Flood" è un corpus di opere video premiate dall’Italian Council del Ministero della Cultura, già esposte al CCA Center for Contemporary Art di Tel Aviv e presentate in Italia per la prima volta in questa occasione. Riflettono sul nostro rapporto con la natura, sul pericolo imminente e sul diluvio come summa di tutti gli sconvolgimenti, e sono state realizzate attraverso una serie di performance condotte profeticamente a partire dal 2019 in una solitudine urbana a Berlino al Reichstag, nelle terre umide nel Mare dei Wadden tra Germania e Olanda dove essere umano e acqua collidono, e in luoghi che testimoniano la forza della natura, come quello vulcanico della Caldera di Manziana.

I singoli capitoli includono “Just before” (appena prima), “Antagonismus” sul nostro atteggiamento ostile verso la natura, “Abiogenesis” che parte dalla teoria sulla nascita della vita dalla materia non vivente, e infine il video della performance “Signal to the Future” (segnale verso il futuro) a Bressanone, che nel maggio 2020 in piena pandemia è stato rimbalzato da innumerevoli tv di tutto il pianeta raggiungendo incredibilmente oltre 430 milioni di spettatori.

L’opera prende posto nella sala più iconica dell’ultimo piano del castello detta “Delle metamorfosi”, decorata da un pittore di area tirolese con scene tratte dall’opera di Ovidio e raffiguranti contrapposizioni tra mondi diversi come “Apollo e Pitone” e “Perseo e la Medusa”.



Stefano Cagol

FAR BEFORE AND AFTER US

(molto prima e dopo di noi)

2022

Opera video HD, 4:20 min. / loop

Courtesy l’artista; PORT Perak, Malesia; La Biennale di Venezia

 far
              before


 

Quest’opera video in mostra è un’assoluta eccezione in quanto presente ora alla Biennale di Venezia all’interno della partecipazione della Malesia, nella mostra in corso fino a novembre agli Archivi della Misericordia, per la quale è stata ideata.

Oltre a questa coincidenza temporale, ce n’è una territoriale, perché l’opera è stata creata in Val di Tovel, appena dietro le montagne dolomitiche che sovrastano il castello.

È un rituale contemporaneo, sospeso tra oscurità e luce, miti del passato, incertezze del presente e sfide di futuri al di là del tempo e dello spazio, un dialogo con ghiacci eterni non più eterni, temperature, venti e correnti che stanno cambiando il corso. Il confronto con la natura evoca l’idea di tempo, un passato in cui le Dolomiti erano un fondale tropicale come la Malesia, ciò che era molto prima di noi e ciò che rimarrà nel lontano futuro oltre a noi, alla ricerca di una simbiosi che abbiamo perso. L’opera è stata realizzata in totale solitudine, rifacendosi alla metodologia delle precedenti esperienze artiche dell’artista, e con una mediazione tecnologica minima, un drone sotto il suo controllo.

Stefano Cagol con quest’opera partecipa per la terza volta alla Biennale di Venezia.


 

Stefano Cagol

BOUVET ISLAND

(l’isola Bouvet)

2013

Installazione, alluminio piegato a mano, 180 x 300 x 100 cm ca.

Courtesy l’artista; Istituto Garuzzo per le arti Visive

 bouvet


 

L’installazione prende il titolo da un’isola considerata uno dei luoghi più remoti del pianeta, norvegese ma situata all’altro capo del pianeta, nell’Antartico. Costituita da pietra vulcanica scurissima ricoperta da candidi ghiacci, con alte scogliere d’instabile materia gelata, è inavvicinabile per noi, ma ricca di fauna. A questi intrecci di opposti che caratterizzano l’essenza dell’isola, si aggiunge un altro contrasto, visto che le conseguenze delle scelte dell’esser umano non hanno preservato nemmeno questo luogo così lontano, protagonista di un esperimento nucleare tra i più misteriosi, il Caso Vela, registrato dai rilevatori eppure mai rivendicato. L’isola viene così presa dall’artista come simbolo delle contraddizioni della nostra relazione con la natura.

Roccia e ghiaccio, l’opera fa riferimento a condizioni naturali estreme attraverso forme e superfici create dall’artista tagliando e piegando a mano la lamiera, “fino a farsi uscire il sangue dalle mani”.

L’opera ci porta all’origine della pratica creativa dell’artista, che aveva sperimentato questa tecnica già all’Accademia di Brera tra il 1992 e il 1993.


 

Stefano Cagol

THE DIVINER

(il divinatore)

2021

Opera video HD, 8:23 min. / loop

Courtesy l’artista; Galleria d’Arte Moderna, Verona

 the
              diviner


 

Nella performance all’origine dell’opera video, Stefano Cagol innesca gesti tanto minimali quanto simbolici e utilizza un elemento di forte impatto visivo ed emotivo: la luce del fuoco e di un segnale di allarme.

Muove nell’aria fiammate che stringe tra le mani, scaturite emblematicamente da bombolette spray di lacca per capelli e da segnali luminosi di soccorso marino, ricorrenti nella sua pratica artistica. I rimandi vanno al nostro impatto su quanto ci circonda e alla necessità di renderlo visibile. I movimenti delle fiamme sono lenti, calibrati, come in una sorta d’inaspettato rituale. Trasformandosi in uno sciamano, un divinatore, come indica il titolo, l’artista sembra tentare di richiamare su di sé tutte le nostre colpe per esorcizzarle.

Abituato a proiettare la sua ricerca in interventi che usano gli spazi pubblici per affrontare temi collettivi, ha realizzato questa performance in una solitudine urbana, in un luogo cruciale della storia di Verona: l’antico cortile di Palazzo della Ragione.

L’opera è stata commissionata ed è esposta fino a settembre dalla Galleria d’Arte Moderna di Verona, che dedica a Stefano Cagol la Primaparete.

 


 

Stefano Cagol

THE END OF THE BORDER (of the mind)

(la fine del confine della mente)

2013

Progetto transnazionale, furgone con scritte, generatore di corrente, faro xenon da 7000 W

lightbox, 100 x 150 cm e video del backstage 13:25 min.

Courtesy l’artista; Canepaneri; DC Dolomiti Contemporanee; Barents Art Triennale; Pikene på Broen, Kirkenes

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Questo progetto transnazionale, nel quale il viaggio diviene esso stesso parte della pratica artistica, Stefano Cagol ha attraversato l’Europa fino all’estremo nord, “trasportando” una simbolica linea di luce per sfondare confini fisici e mentali, come le barriere innalzate dalle paure.

Invitato alla Barents Art Triennale nell’Artico, che gli ha chiesto un progetto capace di confrontarsi con lo spazio pubblico, ha allestito una postazione mobile su un furgone che conteneva un potente faro, capace di coprire una distanza di decine di chilometri, e un generatore di corrente. Questo gli permetteva di liberare la luce in qualsiasi luogo e momento, ed ha scelto di viaggiare verso nord per oltre 10 mila chilometri, partendo dalla Diga del Vajont nel cinquantenario dalla tragedia, passando per Oslo e salendo su lungo la Norvegia fino a Kirkenes, ben oltre il Circolo Polare Artico.

L’idea era di attraversare con il raggio il confine tra Norvegia e Russia, frontiera di Schengen e Nato, oggi ancora più caldo, ma le autorità russe non hanno permesso che l’impalpabile luce passasse. Il raggio è quindi stato indirizzato dal centro della diga sul fiume Pasvik lungo l’invisibile ma invalicabile linea di confine.


Stefano Cagol

TRIGGER THE BORDER

(innescare il confine)

2014

Stampa Lambda, Diasec, 80 x 120 cm

Courtesy l’artista; Canepaneri

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Nel crepuscolo dell’inverno boreale, Stefano Cagol immortala una delle sue azioni artiche tra neve e fuoco, nella quale provoca una fiammata verso la luna. Usando una pratica che gli appartiene, incendia il gas di una bomboletta di lacca per capelli, così imita i gesti violenti delle gang metropolitane e simula metaforicamente le emissioni nocive della società odierna, il nostro atteggiamento antagonista e il nostro impatto sull’ambiente. Rimanda alle ripercussioni del riscaldamento globale che si fanno sentire anche nell’estremo nord, con fenomeni addirittura più evidenti.

L’artista in questa immagine evoca al tempo stesso la figura di un cavaliere dominatore e di un drago distruttore, dando vita a una metafora dell’indole ostile dell’essere umano contemporaneo.

L’opera è stata realizzata – in solitudine – a cavallo del Circolo Polare Artico, mentre Cagol era artista in residenza presso il Drake Arts Center a Kokkola in Finlandia.

 


 

Stefano Cagol

THE ICE MONOLITH

(il monolite di ghiaccio)

2013

Stampa Lambda, Diasec, 100 x 150 cm

Courtesy l’artista; Canepaneri; Padiglione nazionale delle Maldive, La Biennale di Venezia

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              monolith


 

Invitato a partecipare alla Biennale di Venezia nel 2013 dal Padiglione nazionale delle Maldive, pensato come una mostra sulle questioni climatiche che minacciano quell’arcipelago tropicale così basso sul livello del mare, Stefano Cagol ha deciso di porre lungo la riva, sotto gli occhi dei passanti, un monolite di ghiaccio di una tonnellata e mezzo.

Sotto il sole, il blocco è sparito nel giro di 72 ore, creando nel corso del processo di fusione una lunga scia d’acqua che rimandava direttamente al legame tra la scomparsa dei ghiacciai e l’innalzamento del livello dei mari, così pericoloso prima di tutto per le Maldive e la stessa Venezia.

L’artista è riuscito a distillare in un’opera tanto essenziale e simbolica molteplici concetti, come quello di tempo, ricordando il padre che parlava di ghiacci eterni indicando la cima delle nostre montagne alpine, ma anche quello di condivisione di un unico destino, unendo Alpi e Maldive.

Quest’opera è tra le più riconosciute dell’artista, pubblicata da New York Times, Huffington Post e BBC, uscito sulle copertine delle riviste (il Kunstbulletin svizzero), e selezionata (da “Art, theory and practice in the Athropocene”, Vernon Press, 2019) tra le migliori tre opere che hanno usato il ghiaccio nell’arte.

Quest’opera è stata premiata con la Menzione della giuria BIM Piave del Premio Francesco Fabbri per l’Arte Contemporanea 2013.


Stefano Cagol

Monito. Monition. Mort Nucleaire

(monito, morte nucleare)

1995-2022

Opera sonora, 14 min. / loop

Courtesy l’artista; Studio d’Arte Raffaelli; SAM – Sound Art Museum

 monito



Una delle prime opere nella carriera di Stefano Cagol – originariamente un video su VHS degli anni Novanta – viene proposta in mostra in una versione solo sonora.

L’artista ha sviluppato una riflessione sul nucleare, che oggi risulta così attuale e che in origine aveva pensato in occasione dell’ultimo esperimento atomico praticato dalla Francia sull’atollo di Mururoa a metà anni Novanta. Quest’arma, così potente da distruggere l’essere umano e il suo stesso habitat, viene presa come emblema del nostro atteggiamento prepotente e arrogante.

L’artista è penetrato letteralmente nel cuore di un’esplosione, partendo da materiale video d’archivio di esperimenti nucleari. Il suono è stato dilatato progressivamente, in maniera estrema, rallentato di oltre il duecento per cento e il risultato si avvicina incredibilmente alla sinfonia di uno strumento a corda.

L’opera appena uscita ottenne un riscontro immediato e venne selezionata ed esposta a Video Forum ad Art Basel, dove l’artista, alle prime apparizioni internazionali, figurava al fianco di grandi maestri della videoarte come Nam June Paik.

 


Stefano Cagol

TRIDENTUM

(Trento)

2011

Installazione, acciaio verniciato, 3 elementi, 125 x 100 x 70 cm, 105 x 105 x 45 cm, 85 x 70 x 40 cm

Courtesy l’artista

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Un paesaggio scultoreo è composto da tre strutture piramidali complesse, come cristalli che escono dal suolo. Ognuno è formato da molteplici facce diverse tra loro, con superfici che cangiano in relazione con quanto sta attorno, rimandando alla sensibilità dell’ambiente al nostro cambio di prospettiva e alle nostre scelte.

Le forme riprendono in scala quelle dell’installazione monumentale permanente che l’artista ha realizzato alle porte della città di Trento, presso il casello di Trento sud dell’autostrada A22 del Brennero. Lì, l’opera inaugurata nel 2011 è costituita da 16 tonnellate di acciaio. Rappresenta l’origine romana del nome della città di Trento, in latino appunto Tridentum, ossia tre denti, corrispondenti alle tre colline – Doss Trento, Dosso Sant’Agata e Dosso San Rocco – che contrassegnano il luogo, in una cornice di montagne.

Quest’opera viene presentata in una delle più belle sale del castello, decorata da un pittore dell’ambito del noto Marcello Fogolino: la cosiddetta “Sala della musica e dei frutti”.














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